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I discepoli del Signore sanno che in principio
Dio creò il cielo e la terra. Amano la luce e rispettano la vita.
Ricordano come fu sera e fu mattino
e sono capaci ancora di entrare
in questo prodigio della creazione.
Imparano a vivere e imparano a morire.
Lo sguardo di Dio che rende buono il mondo
accende sempre da capo la loro fiducia e la loro comunione.
Sono stati creati a immagine di Dio
maschio e femmina sono stati creati.
I discepoli del signore partecipano nella lode
a questa cosa molto buona.
Per questo non perdono mai la fiducia
nella possibilità di costruire una cultura autenticamente umana;
di fronte a qualche smarrimento dell’uomo contemporaneo
imparano a crescere in un cristiano discernimento.
Sono insieme critici e contemplativi della storia del nostro tempo;
sanno ritrovare ancora le tracce di Dio
e si impegnano ad evitare il male con le forme della grazia,
della intelligenza, e dell’ascetica cristiana.
Vivono nel mondo come il lievito nella pasta,
e come il sale che dà il suo sapore. Sanno che Dio resta fedele.
Con questa speranza guardano alle proprie ferite
e sono vicini alla gente di oggi.
Come Abramo, che un giorno partì senza sapere dove andava,
cercheranno di aprire qualche strada,
per i loro figli e per la speranza di tutti
sicuri che Dio è il Dio della storia e non abbandona il suo popolo.
Lavoreranno con tutti e con ciascuno per il bene comune;
cercheranno la collaborazione, ma non verranno meno
alle convinzioni della fede;
si lasceranno illuminare dal magistero autentico della Chiesa,
ma insieme cercherannoveramente di capire
quello che passa nel cuore dei loro contemporanei.
Si faranno prossimo senza fretta e senza dogmatismi,
senza debolezza e senza anima di conquista:
si presenteranno soltanto
con la semplicità e con la gioia della fede.
I discepoli del Signore, come ha fatto Gesù
nella preghiera della sua Pasqua,desiderano custodire davanti a Dio
tutti gli uomini e le donne, che nel lavoro e nella professione
nella famiglia e nella comunità, vengono a loro affidati.
RIMANETE NEL MIO AMORE :
7. Il mondo
7. Il mondo
I Discepoli del Signore sanno che la creazione del mondo è il primo gesto di grazia.
Infatti il Dio dell’alleanza ci ha condotto a riscoprire il Dio della creazione: «E Dio creò
l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò »
(Gen 1,27). La fede li conduce, da un lato a non sminuire la loro responsabilità nel
confronti del mondo e dall’altro a ricercare sempre una fiduciosa collaborazione
con tutti gli uomini e le donne di buona volontà Cfr. Bonhoeffer Dietrich, Fedeltà al
mondo, Editrice Queriniana, Brescia, 1978, pp. 101..
Amano la vita in tutte le sue espressioni. L’attendono con gioia quando germoglia
nel loro desiderio e nel loro corpo, prima ancora che venga alla luce; ne curano la
crescita nei suoi aspetti più tipicamente umani e più originariamente cristiani;
cercano una qualità di esistenza che sia per tutti segnata dalla dignità e dalla
giustizia, nella forma della maturazione personale e nella cura della cosa pubblica. Si
dispongono continuamente alla gioia e al sacrificio, fin tanto che la creazione geme
e soffre le doglie del parto (cfr Rom 8,22).
Nel prodigio della creazione e della storia i Discepoli del Signore non sono
pregiudizialmente contrari alle espressioni della cultura contemporanea. Ne colgono
i germi di bene, le prospettive di personalizzazione e di libertà, le istanze universali e
le dinamiche emergenti della globalizzazione. Cercano nel Vangelo e nella
multiforme ricchezza del magistero della Chiesa i criteri per formare la loro
coscienza, perché sempre si ispiri ai sentimenti di Gesù e alla retta ragione. Coltivano
perciò il discernimento cristiano sulle cose e sul mondo e aiutano i loro figli ad entrare
nella cultura di oggi con entusiasmo e criticità.
Venire nel mondo è una grazia, restare cristiani nel mondo è a maggior ragione una
responsabilità. Infatti dice il Vangelo: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il
sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato
via e calpestato dalla gente » (Mt 5,13-14).
Solo nella speranza cristiana si può guardare il mondo e le ferite dell’umanità con
lungimiranza e dedizione: i Discepoli del Signore cercano di non avere paura di
fronte a qualche forma di generosità, che manifesti i molti volti della carità. Le
preoccupazioni per le loro cose e per i loro figli non devono rinchiuderli nel comune
e troppo prudente buon senso umano; al contrario la confidenza con Gesù e la fede
nella risurrezione daranno a loro il coraggio di affrontare le contraddizioni della storia
e superare pigrizie e paure, egoismi connaturati e pensieri troppo comuni; sapranno
meravigliare, senza protagonismo, ma con il coraggio di un autentico affidamento a
Dio. Conducendo uno stile di vita sobrio, in una costante vigilanza nell’uso delle cose
e del tempo, sono consapevoli che la vera felicità consiste nel rimanere liberi nel
dono di sé davanti a Dio. Anche ai loro figli a volte è chiesta qualche rinuncia a
motivo del Vangelo, perché resi apparentemente più poveri, una volta cresciuti,
possano fare ricchi molti.
Non a tutti sono chieste le stesse cose, non a tutti nella stessa stagione della vita;
ogni famiglia ha le sue fatiche e le sue difficoltà. Il Signore sa ciò che ciascuno può
dare e prepara ogni famiglia ai fermenti dello Spirito. Infatti: «21È simile al lievito, che
una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata» (Lc
13,21).
I Discepoli del Signore mettono sempre al primo posto la persona di Gesù e vivono
nel mondo lavorando per il bene comune. Amano uno stile di collaborazione che li
rende amabili di fronte a tutti, senza durezze e senza cedimenti; nella pazienza di chi
cerca il consenso di molti, ma insieme di chi, con dignità e fermezza, non rinuncia
alla sua identità.
Nella famiglia e nella professione, nella gestione domestica e nelle cariche
pubbliche, nei momenti del successo e in quello della solitudine, il loro conforto verrà
dalla certezza di essere in mezzo al mondo come Gesù è stato in mezzo ai suoi.
«Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a
tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).
La vita familiare di oggi richiede molto impegno, diventa quindi un grande sacrificio
lavorare per il bene comune, mettendo a disposizione tempo ed energie.
L’accompagnamento educativo dei figli, direttamente e nelle istituzioni, si
sovrappone spesso al carico di una giornata piena e pesante. L’impegno per il
bene comune della società richiede ponderazione e discernimento,
incoraggiamento reciproco e intelligenza della storia. In ogni situazione,
professionale o pubblica, la presenza e il potere vogliono essere una forma di
servizio, e la perseveranza una prova della fede. Non si tratta di riconquistare il
mondo, ma di renderlo più ospitale e meno sordo alle parole eterne di Dio.
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